Inghilterra. 2006. Viene pubblicato “The architecture of happiness”. L’autore è un filosofo, Alain De Botton, che argomenta la tesi per cui i posti che abitiamo influenzano fortemente il nostro essere e fungono da eloquenti promemoria delle nostre potenzialità.
Italia. 2014. Inizia il "Progetto officina", workshop pluridisciplinare di autocostruzione degli spazi esterni dell’Officina San Domenico. Gli autori del progetto sono Daniele Geniale (designer e artista visuale), Francesco Loconte (architetto residente a Parigi) e Antonio Di Gregorio (anima pulsante dell'Officina San Domenico). Si avvalgono della preziosa collaborazione dell'esperto forestale Riccardo La Rosa e affidano la comunicazione delle singole fasi del progetto all’occhio attento e alla mano ferma di Valentina Lorizzo (artista, illustratrice e videomaker) e alle parole di Bianca Peloso (copywriter).
Questo elenco di nomi serve al solo scopo di illustrare il bisogno primario che ha guidato i lavori: rimettere al centro le persone. E le persone coinvolte attivamente nella fase iniziale di revisione e ottimizzazione del progetto e poi, ancora e soprattutto, nella fase di attuazione sono state davvero tante. I fruitori entusiasti non si contano invece perché aumentano di giorno in giorno.
Il “Progetto Officina” è solo il primo di una serie di attività previste finalizzate a ri-sematizzare l’Officina San Domenico nella direzione di un vero laboratorio urbano. Si è partiti con un atteggiamento di apertura e di scambio, di accoglienza e di propositività. Per questo si è scelto di cominciare dal “patio” dello spazio. Un allestimento temporaneo nell’ottica della sostenibilità economica che ha visto una partecipazione dal basso e oltremodo attiva. Sono stati sette giorni di lavoro coordinato e produttivo sotto la guida dei due curatori del progetto che hanno maturato alte competenze anche all’estero per metterle al servizio della città. Ma non sono stati solo giorni di sudore perché questi giovani operai-volontari hanno condiviso uno spazio, un obiettivo e hanno realizzato qualcosa di utile per se stessi e per gli altri. La partecipazione dal basso è uno degli obiettivi prefissati e raggiunti dal progetto. La rete creata tra i proponenti il progetto, le persone coinvolte e il territorio circostante ha generato un senso di appartenenza e amplificato la volontà di mettersi in gioco di ciascuno dei partecipanti. Una vera e propria cassa di risonanza di un circolo virtuoso che solo gli uomini – e non il caso – sono capaci di avviare e dirigere. All’Officina San Domenico c’è una uniformità progettuale che contempla l’eterogeneità dei attori e delle proposte. Il fine unico è riempire questo contenitore culturale di energie vitali e persone attive creando le premesse ma anche le promesse di una riabilitazione dei poli di aggregazione, del centro storico e della città tutta.
Quando si entra all’Officina si ha la netta sensazione di uno scarto tra quello che è stato e quello che è e sarà. Se vogliamo dirla tutta e meglio, si sta provando la validità della tesi sostenuta da Alain De Botton. La sua pubblicazione inglese tradotta in italiano pochi anni ha fatto da faro a un progetto italiano, andriese, e ha illuminato giovani attenti ed affamati sull’importanza dei luoghi che abitano e sulla necessità di custodirli e – in alcuni casi – rianimarli. Per questo preferiamo la traduzione letterale del titolo originale ‘The architecture of happiness’: l’architettura della felicità (e non ‘Architettura e felicità’ come invece è stato tradotto). La stiamo costruendo. Non solo con le parole. Dunque il nostro promemoria, per ricordare a noi e agli altri le nostre potenzialità, sarà di ferro, legno, pietra e colori.
Bianca Peloso.