Questioni di Frontiera
di Annalisa Marroni*. Dal 27 al 29 maggio a Rio de Janeiro si è tenuto il terzo forum della “Alleanza delle Civiltà”. L’ambizioso obiettivo di questo incontro, riassunto nello slogan Bridging cultures, building peace, è quello di migliorare le relazioni tra culture diverse per realizzare le condizioni di una pace duratura. Tra i conflitti che contrappongono le civiltà in questo momento storico, va superato principalmente quello che divide il mondo musulmano e quello occidentale, attraverso la promozione del dialogo e della comprensione reciproca. Quest’anno, per la prima volta, anche gli Stati Uniti di Barack Obama hanno deciso di diventare membri dell’Alleanza e, sebbene il cambio di rotta rispetto a Bush sia stato un segnale importante, probabilmente l’ingombrante presenza degli Usa non servirà a conferire maggiore credibilità al progetto. L’Alleanza delle Civiltà, nata nel 2004 per iniziativa del primo ministro spagnolo José Luis Zapatero e di quello turco Recep Tayyip Erdogan, è un progetto che ha dato vita ad un Gruppo di alto livello delle Nazioni Unite, grazie al sostegno dell’allora presidente Kofi Annan. L’Alleanza è in linea con un nuovo modello di politica globale che vede nel paradigma delle civiltà un elemento decisivo, capace di influenzare il dibattito sulla globalizzazione. Un tentativo che si pone oltre la centralità dello Stato, verso il coinvolgimento di nuovi soggetti nella politica transnazionale: le civiltà e le élite culturali che in questa nuova ottica vengono chiamate a svolgere un ruolo chiave nel sistema politico. Ma nonostante l’ampia partecipazione, anche quest’anno duemila persone, tra leader politici e attivisti della società civile, giornalisti, organizzazioni internazionali e leader religiosi, l’Alleanza sembra più un palcoscenico da cui lanciare buoni propositi, piuttosto che un’organizzazione in grado di dare vita a delle azioni concrete di cambiamento.
Sebbene i conflitti globali e la polarizzazione delle società siano le questioni più rilevanti e necessarie da affrontare, il forum di quest’anno si è focalizzato principalmente su questioni più soft come il ruolo dei media e, soprattutto, di internet nel modellare l’opinione pubblica, il problema della censura e l’importanza dell’istruzione come canale attraverso il quale trasmettere e incentivare il dialogo tra le culture. Uno degli argomenti all’ordine del giorno è stato quello dell’immigrazione sebbene, proprio secondo le parole di Jose Augusto Lindgren, un diplomatico brasiliano che si è occupato dell’organizzazione dell’evento: “È difficile pensare che l’Alleanza possa esercitare un’influenza sulle politiche governative, si può solo sperare che il forum incoraggi una riflessione in questo senso”. Risulta complicato immaginare che l’Alleanza riesca in quest’intento visto che, in questo momento storico, stiamo assistendo ad un inasprimento delle politiche migratorie in gran parte dei paesi occidentali. Tra i fanalini di coda troviamo proprio la Spagna. Nonostante Zapatero sia stato tra i promotori dell’Alleanza, dopo la recessione economica che ha colpito il suo paese, ha avallato delle politiche punitive contro gli immigrati, basate sul sospetto e le sanzioni. L’immagine di paese all’avanguardia nella difesa dei diritti di tutte le classi sociali che Zapatero aveva costruito durante il primo mandato sta iniziando a crollare definitivamente. La Spagna di oggi sembra, infatti, decisa ad allinearsi con le politiche repressive attuate dall’Arizona. Nello stato americano al confine col Messico è stata approvata una legge che consente di arrestare chiunque sia sospettato di essere entrato illegalmente dalla frontiera.
Eppure è proprio da queste politiche che l’Alleanza vuole prendere le distanze, stando alle parole di Lindgren, con la scelta del Brasile come luogo per lo svolgimento dell’incontro vista la recente politica di regolarizzazione degli immigrati privi di documenti. Grandi assenti nell’agenda del Forum sono stati i conflitti mediorientali che coinvolgono i paesi del Patto Atlantico, Stati Uniti in primis. Non si è parlato né del conflitto arabo-israeliano, né della guerra in Afghanistan né di quella in Iraq, sebbene costituiscano dei nodi nevralgici il cui scioglimento è essenziale per poter procedere sulla strada della pace mondiale. Sono infatti questi conflitti e i movimenti migratori provenienti dal Medio Oriente ad aver innescato e alimentato la contrapposizione identitaria tra musulmani e occidentali che si è accesa negli ultimi tempi in Francia, Belgio, Svizzera e altri paesi europei. Un punto cruciale che è stato, però, condensato solo all’interno di una delle tavole rotonde del 27 maggio sull’islamofobia. Diversi esperti del dialogo interculturale hanno espresso le loro riserve sull’efficacia dell’Alleanza delle Civiltà nell’affrontare le questioni più importanti per la realizzazione della pace. Questo progetto difetta infatti di concretezza. Secondo le parole di David Bosold: “Le iniziative dell’Onu come l’Alleanza delle Civiltà servono a rafforzare una politica simbolica, aperta alla discussione tra i leader politici. Sono principalmente tre i fattori che impediscono all’Alleanza di conseguire risultati concreti. Innanzitutto, l’incapacità di relazionarsi con la società civile nel mondo musulmano e in Occidente impedisce la nascita di un reale dialogo tra questi due poli. Inoltre, sebbene si proponga come un modello di politica globale comprendente anche attori non statali, è dominata dalle élite e non vengono effettuati sforzi per allargare la base. Infine, l’Alleanza si configura come un progetto interno all’Onu, in un periodo in cui le Nazioni Unite non svolgono più un ruolo decisivo negli affari internazionali. Se l’Onu non riesce ad essere credibile figuriamoci se può esserlo l’Alleanza delle Civiltà”. Ignorando le critiche, i politici sono già pronti per il quarto incontro che avrà luogo l’anno prossimo nel Qatar.
(Annalisa Marroni è uno dei ricercatori di Questioni di Frontiera)