Questioni di Frontiera
di Annalisa Marroni*. Ancora una volta un fallito attentato nel cuore dell’Occidente: la notizia di una bomba inesplosa, il primo maggio scorso a Times Square, è rimbalzata su tutti i media internazionali. Dopo solo pochi giorni Faisal Shahzad, un giovane di origini pakistane naturalizzato americano, è stato arrestato dalle autorità statunitensi. I legami con le organizzazioni islamiche radicali sono apparsi subito evidenti: John Brennan ha recentemente rivelato i legami tra l’attentatore e il gruppo Tehrik-e taliban pakistan legato ad al-Qaeda. Ripercorrendo la biografia di Faisal, come molti altri arrestati responsabili di attentati rivendicati da gruppi terroristici islamici, scopriamo che è vissuto a lungo in Occidente, in questo caso negli Stati Uniti. Molte testate giornalistiche hanno rilevato l’importanza delle sue origini pakistane, dove era tornato recentemente per un soggiorno di qualche mese, e dove potrebbe aver ricevuto il suo addestramento militare. Prima di questo periodo, però, non vi sono elementi certi che potevano suggerire possibili legami tra Faisal e al-Qaeda, tali da aggiungere l’americano alla lista nera tenuta d’occhio dalle forze di sicurezza americane. Andando oltre il singolo evento, è interessante cercare di capire quali sono i motivi che hanno potuto spingere un giovane, bene integrato nella società americana, ad entrare in contatto con un gruppo radicale al punto da compiere un gesto così folle.
Credo sia illuminante a questo proposito il saggio di Olivier Roy, un islamista e politologo francese di fama internazionale, dal titolo “al-Qaeda in Occidente come movimento giovanile: il potere di una narrazione”. Roy individua la forza di al-Qaeda nella vitalità della sua “narrazione”, che riesce a catalizzare la violenza generazionale che caratterizza i movimenti giovanili contemporanei. Un’analisi calzante anche se pensiamo ad altre organizzazioni terroristiche transnazionali che, come al-Qaeda, non sono tanto legate ad un conflitto locale ma mirano alla realizzazione del califfato globale in termini antimperialistici. L’approccio adottato nel saggio è basato sull’analisi delle biografie degli individui coinvolti nella realizzazione di atti terroristici in Occidente. Notiamo che, per la maggior parte degli arresti, si tratta di cittadini americani o europei provenienti dal Nord Africa, dal Pakistan, dall’Africa Orientale, dalle isole caraibiche o semplicemente dall’Occidente. Il processo di radicalizzazione avviene dunque in Occidente e i conflitti in Medio Oriente non sono vissuti direttamente, ma vengono percepiti a distanza attraverso le informazioni ricevute dai media e dalla rete. Questi musulmani vivono lontano dalle loro famiglie di origine, non fanno riferimento all’islam tradizionale e non conoscono il pensiero dei più importanti e riconosciuti giuristi musulmani. Spesso agiscono individualmente e il processo di radicalizzazione avviene all’interno di piccoli gruppi, al di fuori dei tradizionali legami comunitari come la famiglia, la moschea o le associazioni islamiche. Il passaggio alla violenza, come nel caso di Faisal Shahzad, non è il risultato di un lungo processo di indottrinamento e maturazione: Il tempo che intercorre dalla riconversione religiosa all’azione violenta è molto breve. La violenza, inserita all’interno di una potente narrazione della quale essere protagonisti, è un fattore di attrazione per le giovani generazioni. Roy individua proprio nella dimensione generazionale la lente attraverso la quale analizzare l’ espansione di al-Qaeda: non si tratta più di un’ideologia a cui fare riferimento ma di una vera e propria storia da vivere in prima persona.
Quali sono gli elementi sui quali si basa la narrazione di al-Qaeda? Innanzitutto troviamo la retorica delle sofferenze inflitte alla Umma, la comunità dei musulmani in tutto il mondo. Si tratta di una comunità globale che include sia i musulmani occidentali sia quelli nei paesi a maggioranza musulmana, della quale tutti, nessuno escluso, sono protagonisti. Tutti gli scontri che coinvolgono i musulmani nel mondo intero, vengono messi sullo stesso livello, interpretati come soprusi e crimini condotti contro la comunità musulmana, privati, così, della necessaria contestualizzazione. Proprio questa delocalizzazione, però, costituisce uno dei cardini della forza di al-Qaeda. Un altro elemento è l’importante ruolo svolto dall’individuo che ha la possibilità di diventare un eroe vendicando le proprie sofferenze e quelle della comunità intera. Con l’atto terroristico tutte le umiliazioni personali vengono cancellate e l’individuo, attraverso la morte, ottiene la salvezza personale lasciando un segno indelebile nella storia. Anche la dimensione religiosa gioca un ruolo fondamentale nella creazione della narrazione: i riferimenti a Ibn Taymiyya, Said Qutb o alla Palestina sono immagini dense di significato che servono a costruire e a magnificare un discorso nel quale si inserisce l’azione di al-Qaeda, ma non costituiscono un riferimento fondamentale per i responsabili degli attentati. Inoltre, al-Qaeda è una delle poche organizzazioni che ha messo in atto una lotta contro l’ordine globale, fungendo così da elemento catalizzatore anche per coloro che non vedono nella religione una motivazione sufficiente. Al-Qaeda, infine, vive dell’immagine trasmessa dai leader e dai media occidentali. Questi ultimi, attraverso la retorica dello scontro di civiltà e nella presentazione dell’organizzazione come il grande nemico da combattere, contribuiscono in maniera decisiva alla presa che ha al-Qaeda sul suo pubblico. In questo modo, l’effetto che si ottiene è contrario e permette ad al-Qaeda di capovolgere i parametri di riferimento appropriandosi del discorso dello scontro di civiltà.
Alla fine del suo saggio Roy fornisce delle linee guida per distruggere questa narrazione e indebolire al-Qaeda. A suo avviso è necessario, innanzitutto, stabilire un coerente processo di integrazione a lungo termine che veda l’Islam come una religione occidentale. Bisogna evitare di attribuire all’organizzazione il ruolo di leader del radicalismo islamico: al-Qaeda non è né un’organizzazione religiosa, né il braccio armato del salafismo. Infine si deve abbandonare l’impostazione dicotomica del discorso che vede un islam buono, l’islam liberale, contrapporsi ad un islam cattivo, l’islam radicale ed al-Qaeda in primis. Solo in questo modo al-Qaeda potrà essere indebolita e l’impasse nella quale siamo caduti potrà essere superata.
(Annalisa Marroni è una dei ricercatori di Questioni di Frontiera)