Questioni di Frontiera
La stagione dell’amore, il reportage di Antonio Scurati, voleva essere un prolungamento dei pasoliniani “Comizi d’amore”. Un viaggio in Italia alla ricerca di storie sulla famiglia, i giovani, l’amore, il sesso. Il risultato è pieno di compiacimento. Prodotto dalla onnipresente Fandango, è stato trasmesso il 25 giugno 2009 nel format “La Storia siamo noi”. Ma noi chi? L’incipit è emblematico. Scurati si aggira al “Family Day” e chi t’incontra tra un milione e mezzo di fedeli (e non) accorsi alla manifestazione? Un integralista del “Circolo Lepanto” che spara a zero sui matrimoni gay, torcendo il bicipite della fede in favore della telecamera. Che scandalo signora mia.
A lasciare interdetti non sono tanto le risposte gagliarde e genuine degli intervistati quanto le domande inconcludenti dell’intervistatore, il suo stile amabilmente dilettantesco. L’embedded Scurati voleva confrontarsi con la pancia dell’Italia, lo stomaco del Paese che la sinistra si ostina a considerare brutto, scemo e cattivo, ma non è detto che, siccome di mestiere fai lo scrittore, sei anche un bravo giornalista. I migliori reportage sono quelli in cui ti documenti, prepari una scaletta di domande precise e meditate, invece guardando Scurati sembra che sia partito all’arrembaggio, improvvisando.
Eccolo a Casa Pound (gradevole la vista su Roma da questo palazzo di sei piani occupato cinque anni fa dai neofascisti). Si conversa civilmente con una banda di lupacchiotti under 30 che – interrogati su questioni focali come le relazioni sentimentali – danno risposte evasive a domande sciocche. So’ ragazzetti ma Scurati vuole parlargli da omo a omo: che fate se la vostra morosa vi cornifica? L’Onore è perduto per sempre se un keniota vi si concupisce la sorellina? Perché siete fasci, lo so, ma io no, parbleau, sono venuto a studiare i vostri valori arcaici con la curiosità di un entomologo: “I ragazzi erano molto colpiti dalla mia preparazione – ha commentato lo scrittore a Repubblica – erano convinti che fossi dalla loro parte. Sono rimasti molto stupiti quando ho detto che ero un uomo di sinistra”. Non sono gli unici.
L’ammore, l’amour, è il grande motore che fa girare il mondo, Scurati ci ha scritto pure su il suo ultimo romanzo di successo. Oggi l’Italia è priva di romanticismo ed è grazie a questa visione monciccina del nostro Paese che il reporter abborda una squadriglia di overquarantenni, filo di perle al collo, single senza figli, divorziate confuse e felici. L’intervista avviene ai margini di un happy hour. Mentre le stagionate gallinelle liberal raccontano la loro travagliata vita sentimentale con la serietà di una Kinsella, il reporter si rivolge alle signore come se avessero la terza media (con tutto il rispetto per chi ha solo quella), finché una del gruppo indispettita si alza e se ne va perché non ci sta a farsi cojonare.
Nel bestiario entrano ragazze ventenni con il piercing sul setto nasale che candidamente ammettono sì, era meglio quando i maschi facevano i Maschi, almeno si ricavava qualcosa; baldi trentenni che non dispregiano la verginità (più per imbranataggine che per scelta). Veniamo a sapere che gli uomini di oggi “hanno difficoltà ad affezionarsi”. Nelle balere di frontiera, granitici sessantenni ballano il liscio e fanno non si sa cos’altro. Una delle solite, pregnanti domande del reporter: “Da quanto tempo state insieme?” Neppure un cenno alla vita sotterranea dei nostri vecchi, quali saranno le loro pulsioni amorose? Scurati dovrebbe rileggersi i romanzi di Massimo Lolli, lì sì che c’è da godere con le ultrasettantenni.
Ogni tanto il documentario scuratiano prende una piega simbolica con inquadrature di alberi mossi dal vento. Spiega il direttore Giovanni Minoli: “mi ha interessato il ritmo narrativo di Scurati. Un ritmo dilatato che permette di cogliere dettagli che molte volte significano molto di più delle parole”. Sarà un regia sperimentale ma resta da scoprire il mistero delle cime degli alberi, il senso di quel vento senza una direzione.
Siamo alla Statale di Milano. Scurati incontra un compagno di lotta e tirature, lo scrittore Giuseppe Genna (anche nel documentario di Pasolini c’erano ospiti illustri che però si chiamavano Alberto Moravia e Oriana Fallaci). Il tema diventa quello, sbellicante, del BDSM. Altro che Family Day, il bondage è la vera rivelazione dei nostri tempi, la nuova rivoluzione dei costumi! Genna parla di doppia e tripla identità, e voilà, lo psicorelativismo è servito.
Scurati traduce in popolaresco le nuove dottrine: “Quindi se prendi una donna con forza da dietro digrignando i denti quello è BDSM?”. Uno studente che ha appena pubblicato un manuale desadiano dichiara che in Italia ci sono milioni di Schiavi e Padroni. Scurati dice “milioni?” e sembra perdersi nella vastità dell’argomento. E quelli che si nutrono di tacco tredici in tv, allora? Il popolo dei tanga e dei lustrini tra uno spot e l’altro? In confronto al BDSM di Genna, una sola puntata di “Ciao Darwin” è molto, molto più porno.
Quando alla fine intervista il malcapitato monsignor Fisichella, Scurati tocca le vette del giornalismo watchgod: “monsignore, non crede che il clero e gli omosessuali abbiano almeno in comune l’impossibilità di avere figli?”
Dinanzi a una geniale intuizione come questa Fisichella lo guarda perplesso.
“Temevo che si irritasse – ha confessato Scurati – ma se è successo lo ha nascosto molto bene”. In realtà più che l’irritazione Fisichella ha trattenuto una risata. Con qualche rimpianto per Pasolini che l’Italia la raccontava così com’era, né bigotta né puttaniera.