Questioni di Frontiera
Nel 1994, nel cuore della Sardegna, un gruppo di operai della Carbosulcis mette in scena una delle proteste più dure degli ultimi anni, trincerandosi con quintali di dinamite a 400 metri di profondità nelle miniere di carbone che l’ENI sta smantellando. Minacciano di farsi saltare in aria insieme a quel luogo mortifero che va difeso perchè dà vita e lavoro in condizioni quasi impossibili, e va distrutto in quanto promette la morte e la fine del ‘ciclo produttivo’, in un cortocircuito tragico e paradossale che venne narrato a suo tempo da Daniele Segre. Mentre oggi è di scena il processo contro i capi della Thyssen, colosso fragile dell’acciaio (insieme al carbone vecchia materia industriale in declino) che a Torino, nel dicembre 2007, fu teatro della morte di sette operai finiti carbonizzati, si continua a morire e stavolta il palcoscenico è la centrale Enel di Civitavecchia. Anche in questo caso, gli operai, minacciati come sempre di licenziamento o di mobilità, lottavano per la manutenzione e la messa in sicurezza della fabbrica che diventa invece trappola mortale, come succede con i topi.
Noi sappiamo da un insider – lavora ai piani alti di una delle aziende più quotate del Paese – che nei preventivi di spesa relativi alla costruzione ex novo di impianti, o in quelli legati alla manutenzione delle fabbriche c’è una voce sinistra che non confligge con le regole auree del mercato (il fine giustifica i mezzi) e non si tratta di carità pelosa nè di fatalismo: è la voce dei costi che le aziende mettono in conto preventivando gli incidenti sul lavoro e le morti bianche (i costi comprendono le spese legali previste fino agli eventuali aiuti da assegnare alle famiglie degli operai scomparsi). E’ insomma un marketing di routine, un impact factor funereo.
Questo buco nero delle democrazie industriali in Occidente, come è ampiamente noto, inghiotte gli operai italiani, a Nord e a Sud, e ovviamente coinvolge l’universo sommerso dei nuovi schiavi, i clandestini di tutte le latitudini. Come per molte questioni sociali lasciate irrisolte (le carceri, per esempio), siamo di fronte a una polveriera sotterranea pronta ad esplodere ogni giorno, proprio come la dinamite interrata da quegli operai sardi.
Ci dicono che il vero problema riguarderebbe le ditte che in sub-appalto forniscono servizi alle grandi aziende, e comunque gli ‘imputati’, in questo caso, sarebbero le piccole e medie industrie strangolate dai debiti e dalla crisi degli ordinativi, in un abbassamento generalizzato dei livelli di sicurezza che come una legge matematica produce numeri mortiferi e cifre ferali.
Se si è individuato il punto fragile della catena, nulla si muove per la sua manutenzione.