Questioni di Frontiera
di Valentina Verdini*. E’ difficile tracciare un quadro sintetico della situazione dell’attuale Repubblica del Congo. Per poter capire fino in fondo il conflitto che ancora anima la parte est del paese al confine col Ruanda, tra Hutu e Tutsi e il Nord Kivu, teatro di scontri etnici tra le nazioni limitrofe, bisogna tornare indietro nella storia e precisamente al periodo di colonizzazione. Alla fine del 1800, infatti, l’odierno Congo diviene una colonia del Belgio; i colonizzatori dividono le popolazioni del Ruanda e del Congo sulla base del rango sociale e dei tratti somatici in Hutu e Tutsi, appoggiandosi a questi ultimi per governare. Alla fine della decolonizzazione, gli Hutu riversano tutto il loro odio nei confronti dei Tutsi in un vero e proprio massacro.
Alla prima ondata di pulizia etnica, nel 1962, segue nel 1994 quello che sarà definito il peggior genocidio del secondo millennio dopo quello contro gli ebrei. La trentennale dittatura di Sese Seka Mobutu non serve a calmare i dissapori.
Dopo gli ultimi scontri gli Hutu formano delle milizie paramilitari – le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), che nel 1998 si rendono responsabili di un nuovo massacro dei Tutsi; questi ultimi invece costituiscono il Congresso Nazionale per la difesa del Popolo (CNDP).
Da ciò ha inizio quella che viene chiamata la “Guerra Mondiale Africana”, che termina nel 2003, e che vede coinvolte otto nazioni africane, tra cui le più attive sono Congo, Ruanda, Burundi e Uganda, e ben 25 gruppi armati, alcuni dei quali ancora attivi. Al termine del conflitto, la zona orientale del Congo, il Nord Kivu, rimane occupata da gruppi ribelli stranieri, creando continui momenti di tensione e migliaia di sfollati. L’accordo di pace firmato agli inizi del 2008 non è servito a placare i massacri.
La presenza di una esigua quantità di Caschi blu dell’Onu, i MONUC, pari a 10.000 soldati rispetto ad una popolazione che nella sola regione del Kivu conta 10 milioni di civili, risulta insufficiente a garantire stabilità e controllo della regione. Negli ultimi mesi del 2008 la situazione è degenerata nuovamente quando l’Uganda ed il Ruanda hanno deciso di appoggiare gli attacchi del CNDP, guidato da Laurendt Nkunda, accusando il Congo di sostenere gli “Interahamwe” delle “Forze armate di Liberazione del Ruanda”(FDLR), gli estremisti Hutu responsabili del genocidio in Ruanda.
Uganda e Ruanda sostengono quindi la legittimità di colpire le basi del FDLR e dei suoi alleati, “l’Esercito di Liberazione del Signore” (LRA), che si trovano nella regione congolose del Nord Kivu. L’avanzata di Nkunda è stata veloce, occupando in poco tempo le città di Rutshuru e Goma, capitale del Nord Kivu, insieme alla base militare di Rumangabo. Nel frattempo la popolazione è stata vittima di violenze congiunte da parte sia del LRA e sia dello stesso CNDP. I civili sono stretti dalla morsa delle milizie locali e dei ribelli che con le loro azioni costringono i profughi a spostarsi continuamente in zone che in ogni momento potrebbero diventare altrettanti teatri di guerra.
Il 22 gennaio del 2009 viene arrestato Laurendt Nkunda, figura appoggiata economicamente e militarmente dagli Stati Uniti. Stando alle accuse a lui mosse, dietro il dichiarato intento di combattere un governo corrotto, il generale portava avanti una politica di pulizia etnica nei confronti degli Hutu.
A tutt’oggi le condizioni nel Nord Kivu sono drammatiche. Nonostante se ne parli poco in Occidente, la situazione è una delle più preoccupanti nello scenario globale. Centinaia di sfollati e circa 6 milioni di morti (la metà dei quali bambini) vengono contati dall’inizio del conflitto dalle associazioni umanitarie. Anche per quest’ultime operare sul campo e aiutare la popolazione rappresenta uno sforzo immane, non soltanto per la mancanza di vaccini, farmaci e di beni di prima necessità, ma anche per i continui attacchi dei ribelli.
In questo scenario di guerra, ricondurre le cause della violenza alle sole ragioni dell’odio e delle rivalità inter-etniche risulta errato. Dietro ai massacri tra tribù, vi sono altri attori che muovono le fila di questi burattini (in-)consapevoli. Il Congo è una miniera aperta, un paese ricco di risorse naturali quali cobalto (essenziale per le industrie nucleari, chimiche, aerospaziali e della difesa), diamanti, stagno, oro, rame, petrolio, carbone, uranio e zinco, senza contare le immense risorse di legno.
Ma la risorsa oggi diventata più importante è il coltan, di cui il Congo orientale è la più grande riserva mondiale. Il coltan è un minerale simile a fango di sabbia nera ma dalla capacità economica e strategica immensa, in quanto viene usato per ottimizzare il consumo della corrente elettronica nei chip di nuovissima generazione. Viene quindi utilizzato nei telefonini, nelle telecamere, nei pc portatili dove è necessario risparmiare energia della batteria.
Il coltan inoltre è radioattivo e contiene anche dell’uranio: per questo è indispensabile nell’industria aerospaziale, per fabbricare i motori dei jet, oltre agli air bag, ai visori notturni, alle fibre ottiche. I proventi derivanti dalla vendita alle multinazionali occidentali di questo indispensabile minerale vengono utilizzati per acquistare le armi necessarie ai soldati e ai ribelli.
* Valentina Verdini segue i seminari di QF a Tor Vergata.